Per certi musicisti il tempo scorre in maniera completamente diversa rispetto a noi comuni mortali: gli anni e l’ispirazione sembrano non passare mai, quasi entrassero in un’altra dimensione nei periodi off, per uscirne rigenerati e con un ulteriore strato di smalto creativo da esplodere.
E, pur non nutrendo un amore sviscerato per gli UFO, posso dirvi che con “Seven Deadly” la band è tornata in gran spolvero, con una nuova luce negli occhi. Il genere è sempre un hard rock che strizza l’occhiolino al blues primordiale e all’heavy metal di fine anni 70, con fini soluzioni imbastardite dalla voce grezza di un Phil Mogg davvero incredibile e l’estro chitarristico di Vinnie Moore che mai si smentisce.
Rispetto al predecessore “The Visitor”, “Seven Deadly” ha in più il livello altissimo di idee contenuto nelle songs: il suono sporco tipico del quartetto inglese viene, in questa sede, ‘sciacquato’ e reso più limpido, rappresentando una novità nel contesto della band. Coaudiuvati da sua maestà Tommy Newton in consolle, la band appare solida e ispirata, grazie anche a un songwriting che sembra più da ventenni.
Se amate il groove, ascolterete “Seven Deadly” dalla A alla Z un milione di volte; canzoni come l’opener “Fight Night”, “Year Of The Gun” e “The Fear” rappresentano delle vere mazzate sui denti, con un tiro micidiale. E se gli episodi più melensi, come “Angel Station”, “Waving Goodbye”, vi faranno sorridere per un’eccessiva dose di ruffianeria, non potrete inchinarvi al cospetto di pieces chiamati “Wonderland”, “Mojo Town” (groove lento ma inarrestabile) e la semi ballad “Burn Your House Down”, dove il contrasto tra la voce di Phil Mogg e i cori prettamente ‘female’ valorizza le strutture donandogli una piccola ventata souleggiante.
E’ incredibile vedere una band, con quasi quaranta primavere alle spalle, elaborare un disco ‘giovane’ che si lascia amare dal primo momento. ”Seven Deadly” non verrà sicuramente ricordato come un capolavoro delle band inglese, ma siamo molto vicini.
Se la vecchiaia è questa…
