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INFERNAL POETRY – Daniele Galassi

Per partorire un disco come “Nervous System Failure” ci vogliono le stimmate dei grandi, proprie di quelle band che abbattono barriere e dettano nuove strade da percorrere. La follia senza limiti degli Infernal Poetry, portata a livelli sublimi con l’ultmo album dopo un primo fecondo germogliare in “Beholding The Unpure”, è destinata a lasciare il segno anche negli anni a venire, e non ci siamo fatti sfuggire l’occasione (seppure con colpevole ritardo) di esplorare con più attenzione cos’abbia portato questi cinque musicisti marchigiani a gettare le basi per una nuova concezione dell’estremo in musica. A voi il mondo malato della band nelle parole del chitarrista Daniele Galassi.

Difficilmente si riescono a trovare dei dischi con un concept artistico a tutto tondo come il vostro, che non si fermi alla musica ma incorpori nei testi e nell’artwork un’idea così forte e geniale come quella di “Nervous System Failure”. Qual è stato l’input che ha scatenato l’inferno di suoni e visioni descritto nell’album e come siete riusciti a compenetrare tra loro le componenti sonore, liriche e visuali del disco?

Se la musica è genuina emanazione del proprio ego, e per noi lo è sicuramente, c’è da dire che allora siamo messi male. Nel senso che è tutto nato in maniera assolutamente spontanea: i semi gettati già in “Beholding the Unpure” sono degenerati deflagrando in frutti davvero poco raccomandabili. Idem per la sinergia testo – musica – immagine: con i primi due elementi così forti, è stato naturale per Lorenzo Mariani immaginare un art work coerente.

Come funziona il vostro processo compositivo? C’è un’anima più irrazionale delle altre, all’interno della band, che spinge verso la pazzia più totale, e un’altra che tenta di razionalizzarla, o tutti insieme tendete nella medesima direzione?

Funziona in maniera strana, perché possiamo partire sì da un riff, ma anche da un pattern di batteria, da una linea vocale, da una suggestione ritmica o spesso da una scena immaginata che decidiamo di musicare (la vena grottesca trae un certo vigore da quest’ultimo espediente, ad esempio “Pathological Acts at 37 degrees” altro non è che un “ciccione che ciondola in una cucina e che ha fremiti di godimento quando agguanta dei cereali al cioccolato dalle mensole cigolanti poste sopra il piano cottura sporco”). Sicuramente non usiamo più il metodo di portare una successione di riff già concatenati, in questo modo si ricadrebbe negli schemi facilmente. In sala si improvvisa sul momento, così come avviene anche in studio: nessuno si fa remore a cambiare in corso d’opera, quello che conta è il risultato. Se in quel momento un pezzo ci pare non funzionare più ecco che viene falciato senza remore.

Le parti vocali, giù eccezionali in “Beholding The Unpure”, sono diventate ancora più deliranti in quest’occasione, rendendole simili a un coro di pazzi che hanno appena divelto le loro camice di forza. Come siete riusciti ad arrivare a un risultato del genere? Quanto c’è di studiato e quanto di istintivo in vocals tanto particolari?

Beh, diciamo che Paolo sa cosa fare e quando farlo, ma spesso mi approprio del ruolo di regista quando si parla di voci, nel senso che conosco bene le sue potenzialità timbriche ed espressive e mi diverto a dirigerlo in studio se ce ne dovesse essere bisogno (se vedi questo video, al link www.youtube.com/watch?v=fTw68AXv7QI, capisci cosa intendo).
Anche quando scrivo io le linee vocali e i testi, lo faccio avendo in mente i range e i registri su cui si potrà muovere lui, ma come al solito in studio si improvvisa, corroborati dell’entusiasmo del momento e dall’alcool (ad esempio “Beholding the Unpure” è costato oltre 50 bottiglie di vino rosso!).

Schizofrenia, pazzia, rabbia, tensione incontenibile, rappresentano al meglio la vera natura dell’essere umano o sono soltanto la sua degenerazione finale? Che cosa porta secondo voi alle reazioni più estreme un individuo?

L’uomo è un sistema aperto, in continuo interscambio con l’ambiente. Se l’ambiente diventa ostile, lui tende ad adeguarsi. Il problema è che anche la mente va considerata come ambiente (sebbene in un certo senso interno), cioè come entità altra rispetto all’essenza dell’essere umano. In soldoni, la tua mente può iniziare a fare scherzi terribili, perché tu e la tua mente non siete affatto la stessa cosa, e pertanto potete andare in conflitto in mille modi (con tutto ciò che ne consegue).

Intanto che componevate il disco, che cosa vi passava per la testa? Vi rendevate conto che stavate dando alla luce un album così avanti e così smaccatamente originale?

L’originalità è il nostro pensiero fisso, mai tentare di rifare ciò che hanno già fatto brillantemente altri (anche se sarebbe molto più facile, veloce e remunerativo). Volevamo esplorare nuove vie mantenendo groove, hook e “orecchiabilità”. Io penso a questo disco come ad una creatura biologicamente instabile, dove le canzoni sono gli organi vitali e gli interludi strumentali sono linfa contaminata che ne irrora i tessuti, permettendo ai suoi precari equilibri di reiterarsi. Vedo questo disco come un essere deforme dalla forza smisurata, una forza che reclama il massimo da ogni tendine, muscolo, osso e che pertanto può portare alla morte della creatura stessa. Planando verso il prosaico, questo cazzo di disco è come un pornostar troppo dopato: performante al massimo, ma costantemente a rischio di infarto.

L’artwork del disco scaturisce da vostre indicazioni ben precise date all’artista, oppure gli avete dato mano libera attorno a un’idea di partenza non ancora dettagliata nei particolari? Quali sono stati i commenti, in genere, a un’immagine così forte?

Già dall’ep “Nervous System Checking” avevamo creato assieme a Lorenzo Mariani questi nuovi personaggi, qui gli abbiamo solo chiesto di rappresentare un “suicidio di massa di cellule cerebrali”. Lorenzo ha ascoltato il premix e ha subito capito l’andazzo e il risultato è stato che immagine, testo e musica sono adesso un tutt’uno. L’artwork è piaciuto molto, nonostante tutti all’inizio ci sconsigliassero una scelta così folle e controcorrente.

L’intro del disco è geniale: eravate tutti convinti di mettere una traccia del genere in apertura, oppure qualcuno di voi ha pensato potesse essere un po’ troppo provocatoria e non voleva rischiare?

L’intro… non ci pareva potesse creare problemi. Ma così non è stato: le prime due recensioni (una canadese e una inglese) ci hanno sfasciato il culo dandoci 3/10 e 2/5 proprio per l’intro, giudicato troppo spaccone e irriverente. Poi tutto liscio, ma quelle due mazzate mi hanno fatto sudare freddo, visto che l’idea è stata mia. Ma io mi chiedo: non si può dire la verità? E’ convenzionale? No. E allora?

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Avete lasciato fuori qualcosa da “Nervous System Failure”? C’è del materiale extra che non è stato incluso nell’album perché non aderente al resto della musica?

Niente, è stato tutto ciucciato fino all’osso. Non siamo una band particolarmente prolifica sotto il profilo quantitativo e non scartiamo mai materiale alla fine, semmai scartiamo moltissimo durante, ecco perché ci mettiamo sempre parecchio per pubblicare un nuovo disco.

L’irregolarità e l’anticonvenzionalità della vostra proposta è un vantaggio o uno svantaggio, in una scena con l’ansia dell’omologazione e della categorizzazione a tutti i costi?

Sarò franco, rude e cafone: è uno svantaggio totale, visto la qualità delle menti chiamate in campo (mi riferisco al fruitore medio di musica estrema, una vera testa di minchia con un raggio di visuale di 2 gradi e un’età anagrafica che equivale a metà della mia). C’è stato un momento in cui mi sono detto “ma perché facciamo tutto ciò?”. La risposta è stata che ci diverte fare musica estrema come diciamo noi e spaccare il culo a tutti dal vivo. Quanto sarebbe più facile confezionare un disco di brutal death o techno-death canonico: contratti migliori e tourneè in carrozzoni, ma nessuno di noi ne ha davvero voglia. Verrebbe fuori un disco di maniera, probabilmente valido, ma che vivrebbe comunque all’ombra di quanto fatto in passato dai nomi illustri.

“Nervous System Failure” è uno dei rari casi in cui le recensioni sono state pressoché plebiscitarie, e un po’ tutti hanno sottolineato la qualità e l’inventiva della vostra proposta. Se la critica è stata tanto positiva, a livello di pubblico siete riusciti a fare breccia?

In effetti a parte i due pareri già commentati, le recensioni sono state davvero gloriose… e come dico sempre, vista l’ereticità del disco, non era per niente scontato. Il pubblico si è diviso come per ogni nostra release, chi chiama in causa parole grosse come “genialità” e chi si sente tradito e preferiva magari il debut album (ma ancora con ‘sto death svedese???). Ma adesso abbiamo definitivamente guadagnato lo status di gruppo in qualche modo “unico”, che accoppiato alla nomea di band da palco è davvero un grande risultato, considerato anche che non abbiamo mai avuto un’etichetta decente alle spalle.

Personalmente, che cosa vi manda in tilt il sistema nervoso e vi spingerebbe a una reazione estrema come quella dei personaggi in copertina?

Tutto quello che sta facendo questo ultimo governo. Un governo del fare, è vero, ma del fare i cazzi propri.

Cosa è rimasto della vostra visione musicale ai tempi di “Not Light But Rather Visible Darkness” in “Nervous System Failure”?

La voglia di non essere freddi ma di trasmettere qualcosa. Ogni nostro disco ha fino ad ora raggiunto questo scopo: in “Not Light But Rather Visible Darkness” abbiamo trasmesso emozioni chiaroscurali, in “Beholding the Unpure” abbiamo affrontato la morbosità, in “Nervous System Failure” abbiamo tentato di affogare l’ascoltatore in una grottesca isteria paranoide (finendoci dentro fino al collo anche noi!).

Quanti salti mortali dovete fare con le vostre attività lavorative per riuscire a star dietro a tutti gli aspetti legati alla band?

Tasto molto dolente… ognuno ha il suo bel daffare, abbiamo dovuto rifiutare spesso diverse proposte. Purtroppo finché si studia è un conto, poi è tutta un’altra storia. Paolo è fonico professionista ed è spesso in giro con artisti importanti, c’è chi fa il ricercatore, chi insegna musica, chi ara i campi, chi si occupa di import di strumenti musicali (che sarei io). Insomma il tempo del cazzeggio è finito da un pezzo! Avevo ragione io: sarebbe stato meglio laurearsi senza fretta!

Per chiudere, diteci in breve quali sono i vostri programmi per i prossimi mesi e su quali palchi potremo vedervi all’opera.

Stiamo componendo (e scartando) materiale succosissimo per il nuovo disco, mentre per i live il momento è molto particolare a causa di un brutto incidente in moto dello scorso ottobre che ha costretto Paolo a un delicato intervento chirurgico. Comunque stiamo raccogliendo proposte tramite AL Produzioni, che cura il nostro management.
Chi fosse interessato può contattare Davide a info@alproduzioni.com.
Per il resto, solita inutile manfrina: visitate il sito, il myspace, scaricatevi tutto, compratevi qualcosa e venite ai concerti.
STAY NERVOUS!