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Synesthesia

Il vecchio fantasma degli Opeth è sempre fatalmente in agguato.

Il Grande Scisma d’Oriente, che già dall’altisonante moniker suggerisce un combo dai lineamenti alteriosi, ricercati e colti, ha iniziato solo recentemente a plasmare i suoi deliranti piani qui in patria presentandoci un EP, “Synesthesia”, che formalmente colpisce su quanto non sgarri mai di una virgola.
La loro musica è un’altalena di avvincenti sensazioni che entrano nella carne come burro e presenta una zuppa sostanziosa che ha come ingredienti il morbido rossore del progressive e i rumori e i fastidi tipici del death metal, forgiando una lega solida. Spicca all’orecchio una cura certosina nei dettagli e nella produzione, polverizzanti per una band così giovane, e con una capacità di emozionare davvero sopra la media. Ma allora qual’è il problema? Come mai un giudizio contenuto e non eccellente?
Il problema è solo uno e si chiama Opeth.
Il combo italico infatti prova a ripetere l’irripetibile non solo ispirandosi agli acclamatissimi ragazzi scandinavi ma clonandone ogni singola pecuniarità in maniera mono-direzionale e quasi imbarazzante: riffs corposi e testardi, forma libera nella struttura dei brani, atmosfere liquide, oscure ma passionali. Persino l’espressivo cantato di Emanuele, ovviamente sia pulito sia growl come da tradizone, è pressochè identico a quello del più quotato collega Mikael.
E’ davvero un peccato visto che le cinque composizioni hanno il loro perché: i giochi si avviano con”Synesthesia Part 1”, tanto breve quanto intensa, un’introduzione strumentale che vede come protagoniste delle melodrammatiche chitarre acustiche. Durante la sua durata la fa da padrona una tristezza parecchio accentuata. “Synesthesia Part 2” è una nebbiosa marcia nel buio, dove la parte da leone viene svolta da partiture metalliche, anche se spesso e volentieri vengono intervallate da folate melodiche. Presa dritta dritta dal claustrofobico “Deliverance”, è un’umbratile richiesta d’aiuto nel giardino senza luce della disperazione.
Successivamente è il turno “Hypnagogia Part 1” e delle sue porzioni di piacere ultraterrene, che esordiscono con una dolcezza tanto effimera quanto spettrale, languida come non mai. Si cade poi nelle esplosive gole di “Hypnagogia Part 2” e le sue annacquate ed annegate visioni in un sonno stregato, tra giardini non più fioriti e armonie struggenti. “Onironauta” già dal titolo suggerisce un solitario viaggiatore sognante, presenta una natura particolarmente decisa e veemente, caratteristica che ti imprigiona e ti segna con la presenza di ombre perseguitanti.

Dicono che quando si è innamorati si è cechi. L’ensamble dello stivale dev’essersi presa un’infatuazione talmente grossa per il five-pieces svedese da aver perso totalmente la concezione di se e del proprio operato, rovinandosi in parte con le proprie mani.
Certo, si può dire che a loro non spetti un podio all’inventiva ma la loro pletora di fiabe defunte sono lungi dal non essere riuscite.
Questo è solo un banco di prova per i promettenti ragazzi, sperando che la meta finale non sia stata ancora raggiunta.

  • 6,5/10

  • Synesthesia -

  • Tracklist

    01. Reignite The Heart
    02. Shoreless Love Song
    03. Black Will Turn To Grey
    04. This Is Me I’m Holding On
    05. The Path To Your Demise


  • Lineup

    Kla - voce
    Dan - chitarra solista, voce
    Nene - chitarra ritmica
    Joseph - basso
    Marco - batteria