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SESTA MARCONI – Band

Tra le frange del metallo più in fermento in Italia negli ultimi anni, c’è sicuramente il doom: la scena del nostro paese è tra le più competitive a livello mondiale, si fa notare e apprezzare fuori dai nostri confini spesso e volentieri, proponendo un ventaglio di scelta che va dal doom classico settantiano, alle derive psichedeliche e alle sperimentazioni avanguardistiche. Tra le giovani leve, una delle band più interessanti sono i Sesta Marconi, autori di un gran demo, “Ritual Kamasutra Kitsch”, e ora in rampa di lancio per l’imminente esordio ufficiale. Siamo andati a sentire come procedono le cose per questo interessantissimo gruppo.

Voi fate “doom’n’roll”: che significa per voi?

Doom e Rock’n’Roll, per come li intendiamo noi, sono due concetti che si avvicinano tantissimo l’uno con l’altro e sono due componenti fondamentali nelle nostre vite, e di conseguenza nella nostra musica. Il Doom’n’Roll è un misto tra divertimento, spiritualità, poesia, turpiloquio, amore, rabbia e altre cose che all’apparenza risultano opposte ma che convivono in noi.

Pensate di poter avvicinare al doom anche ragazzi che di solito non l’ascoltano, dato che avete canzoni parecchio movimentate?

Questa sarebbe davvero una bella soddisfazione. In effetti abbiamo ricevuto complimenti anche da chi ha difficoltà a tollerare il genere. Sarà anche per il fatto che oltre ad essere movimentate, le nostre canzoni sono anche un pò ‘ruffiane’. Ahahah!

Nascete a Campobasso, ma fate base a Roma già da un po’. Il trasferimento è stato la svolta per l’attività del gruppo?

La vita trascorsa insieme qui a Roma ci ha aiutato a crescere come persone e di conseguenza come band. Il termine svolta è adattissimo, soprattutto per il fatto che a Roma abbiamo avuto la possibilità di suonare di fronte a molta più gente e di stringere amicizie con tantissime persone che condividono le nostre passioni.
Campobasso è la nostra città natale, la porteremo sempre nel cuore, però dobbiamo ammettere che la scelta di lasciarla è stata la migliore delle nostre vite.

Che significa “Ritual Kamasutra Kitsch”?

E’ stato prima il titolo di una canzone in cui raccontavamo in modo un po’ visionario la percezione che avevamo dei rapporti e delle relazioni fra uomini e donne: un insieme di convenzioni e atteggiamenti senza gusto e senza senso di cui la maggior parte delle persone è schiava. Poi ci siamo resi conto che il concetto era estendibile al di là del rapporto fra i diversi sessi e che eravamo circondati da continue visioni di questo tipo: orge di perbenismo e ipocrisia approvate e benedette da politica e religione, forze sempre in prima linea, soprattutto in Italia, a tenere alta la bandiera del cattivo gusto!

“LSWD”, la canzone più acida del demo, si intitola così perché parla di LSD, ma con qualcos’altro di mezzo…Di che si tratta? Qual è il gioco di parole nascosto nel titolo?

Più precisamente si parla di droga in generale, non di LSD. Il titolo è l’acronimo del ritornello “Life sucks without drugs”. Il testo è ispirato da una storia vera, una comunità di emarginati che fa uso di crack e che vive in un cimitero di un villaggio del Costa Rica; ogni membro di questa alienata comunità ha come letto e casa una tomba. Lasciando spazio all’immaginazione abbiamo raccontato la resurrezione e la vendetta di questi “Living Deads” contro quella società “normale” che li aveva ghettizzati, augurandoci che nella realtà possa esserci davvero una riscossa apocalittica del sud del mondo.

Quanto è importante la psichedelia nel vostro sound? E’ difficile farla coesistere con la vostra parte più metallica ed aggressiva, senza perdere in immediatezza?

In realtà non è troppo importante nell’economia del sound. Di solito mettiamo le varie componenti al servizio di una canzone, quindi se sentiamo che in un pezzo ci sia bisogno di una parte più psichedelica, la inseriamo senza troppi problemi. In ogni caso non siamo un gruppo psych e la psichedelia vera preferiamo lasciarla suonare a chi di dovere.

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Nella vostra musica, quanto spazio date alla sperimentazione e all’improvvisazione all’interno dei pezzi?

La sperimentazione come viene vista oggi c’interessa molto poco. Però cerchiamo di sperimentare soluzioni nuove canzone dopo canzone. Per quanto riguarda l’improvvisazione invece, dal vivo non ne facciamo mai, però può diventare molto utile nel momento della creazione di un pezzo.

Se doveste indicare una band simile alla vostra, vi ritrovate di più in Cathedral, Reverend Bizarre o Revelation? O chi altro?

In realtà cerchiamo di suonare quello che ci pare e di conseguenza di non assomigliare a nessuno in particolare. Tuttavia, tra le nostre band preferite ci sono certamente alcune che hanno lasciato un segno nella nostra formazione. Tra i gruppi doom ti diremo senza dubbio i Cathedral, dei veri e propri e maestri, oltre che per i bellissimi dischi che ci hanno regalato anche per una certa lezione di libertà nelle composizioni che hanno impartito al mondo intero. Album dopo album se ne sono sempre fregati di tutto e hanno fatto quello che sentivano. E poi i Pentagram, in cui la cosa principale che viene fuori dalla musica è semplicemente la bellezza!

Nelle vostre lyrics c’è molto sarcasmo, quali sono i vostri bersagli preferiti?

Non ci sono dei veri e propri bersagli preferiti. Come detto prima, cerchiamo di far convivere molti opposti nella nostra musica e siamo affascinati dall’ambiguità, quindi chi non riesce ad accettare tutto questo diventa automaticamente bersaglio. In “Retrogradio”, l’intro di RKK, sono raccolte appunto delle parole pronunciate da menti retrograde e chiuse in una stupida fermezza… Per attivare la rivoluzione, come primo punto bisognava distruggere tutta quella merda.

Mi pare che la scena doom italiana sia in grande fermento, voi che ci siete dentro come la vedete?

Dopo il prog negli anni ’70 e l’hardcore negli ‘80, l’inizio del nuovo millennio ha visto nascere e crescere in Italia una vera e propria scena doom e stoner. La scena è in ottima salute e ci sono band validissime che non hanno niente da invidiare ai gruppi stranieri usciti negli ultimi anni. Il risultato di questo può essere ascoltato gratuitamente sulla compilation “Desert sound Vol. III”, scaricabile da www.perkele.it/desertsound.htm. Inoltre c’è collaborazione, amicizia, apertura mentale e voglia di condividere e non c’è spazio per le invidie e per figli di puttana.
Per quanto ci riguarda è l’unica vera cosa di cui possiamo andare fieri dell’Italia degli ultimi anni.

Avete appena preso parte allo Stoned Hand Of Doom, il maggior evento doom della penisola. Come è andata?

È andata benissimo e siamo contentissimi dell’affluenza, della prestazione e di tutta l’atmosfera che si respireva. Lo SHOD per noi è qualcosa di fantastico, un punto di ritrovo e il trionfo più grande per la scena.

Il destino del doom è quello di rimanere per sempre un genere di nicchia?

Si. Ed è giusto così! Questo però non implica di certo una chiusura a priori nell’underground, se un gruppo doom riesce ad aver maggior successo e ad attirare più gente di quella che è completamente all’interno del genere ben venga, ma i veri doom-fan resteranno sempre in minoranza. Amen!

Ho visto che avete firmato per la Metal On Metal. A quando il vostro esordio discografico?

Dobbiamo ringraziare questa etichetta che sta credendo in noi. Il prossimo 20 luglio entreremo in studio per registrare il nostro primo full-lenght “Where The Devil Dances”. L’uscita è prevista tra i mesi di settembre e ottobre.

Nel futuro prossimo venturo, a cosa aspirate? E parlando più a lungo termine, dove volete arrivare?

I prossimi obiettivi sono il già citato debutto discografico e suonare il più possibile in più posti possibili. A lungo termine gli MTV Music Awards ah ah ah ah! Scherziamo, speriamo di sopravvivere al 2012.