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PROGRESSIVE ASSAULT 2012

Fin dall’annuncio ufficiale ho comiciato a segnare i giorni sul calendario che mi avrebbero separato da questa serata. A parte la curiosità di sentire finalmente i Leprous come headliner, in quanto tutti quelli che li avevano visti come supporter per Therion e Amorphis me li avevano descritti come forze della natura, c’è tutto un discorso di contorno che vede altre tre band di altissima caratura esibirsi, ognuna con una sua personalissima visione del progressive. Dopo vari problemi tragicomici durante il viaggio, come il navigatore impazzito che cerca in tutti i modi di farmi uscire dall’autostrada e la macchina che ogni volta che scalo in seconda decide simpaticamente di spegnersi, finalmente si arriva al Barrio’s. In piena zona San Siro, sostanzialmente è un barettino in mezzo al niente che funge anche da centro di aggregazione per una zona un po’ degradata. Bel posticino, con acustica e soffitto basso che mi ricordano un po’ quei localini jazz che mi fanno impazzire. Dopo aver conosciuto i tipi poco raccomandabili della Eagle Booking (scherzo, vecchi!) e un eroe che si è fatto tutta l’Italia (Messina-Milano, mica ca**i) per vedersi i Persefone, finalmente si comincia.

ØRKENJØTT

Mi avevano parlato in modo entusiastico di questi Ørkenkjøtt, giovane gruppo norvegese con tutte le carte in regola per diventare un nome importante nel metal “intelligente”. Quando questi ragazzi si presentano sul palco il locale è praticamente deserto, ma anche grazie ad un look stravagante i pochi presenti si precipitano sotto il palco decisamente incuriositi. Il cantante vestito come un santone e i due chitarristi truccati e brillantinati un po’ glam che saltano e corrono per tutto il piccolo palco attirano l’attenzione ed enfatizzano la proposta musicale che è dannatamente esaltante. Siamo in zona Opeth vecchia scuola, magari con un pizzico in più di atmosfere eteree e sognanti, con le parti pesanti in cui la band denota una personalità ed uno stile unico. Veramente lodevole anche la prova del bassista Håkon Vøllestad, un po’ meno showman degli altri ma con una grande tecnica e uno stile che mi ha un po’ ricordato quello dei Tool. Esilarante l’ultimo brano in cui il frontman torna sul palco vestito da tipico redneck americano e la band si cimenta in un pezzo rock’n’roll sguaiato e sopra le righe decisamente divertente.

PERSEFONE

Il tempo di prendere una boccata d’aria e sul palco ci sono già i Persefone, la band più pesante della serata che, nonostante alcuni passaggi ai limiti del brutal, non stona nell’economia generale della serata grazie ad un pubblico di mentalità molto aperta che apprezza la tecnica mostruosa della band andorrana. I Persefone riescono a destreggiarsi abilmente tra bordate di death metal molto tecnico in bilico tra melodia e brutalità, arricchite da un’approccio hardcore del cantante e una vena prog che emerge soprattutto nei ritornelli melodici eseguiti dal tastierista. Il cantante è una vera e propria forza della natura, (tra l’altro veramente molto simile a Gerard Butler in 300!), sempre ad incitare il pubblico e addirittura pronto a scatenare un piccolo circle pit col sottoscritto, anche se la location non era quella giusta e molti non hanno gradito. Semplicemente mostruosi i due chitarristi, addirittura entarteiners provetti quando decidono di intrattenere il pubblico con un medley in cui buttano dentro un po’ di tutto, perfino il tema di guerre stellari. Sicuramente i Persefone tra le band della serata sono quelli che sono riusciti ad accaparrarsi il maggior numero di nuovi fan, grazie ad una prestazione tecnica e muscolare ed alla gentilezza con cui sono andati a ringraziare ogni persona che era sotto il palco durante il concerto.

LOCH VOSTOK

Gli svedesi Loch Vostok sono il gruppo con più carriera, album ed anni sul groppone in mezzo a questa carovana di ragazzini terribili, quindi il mestiere li aiuta decisamente a fare la loro buona figura e a non sfigurare in mezzo a band che indubbiamente li surclassano in quanto a presenza scenica e tecnica. Per quanto abbastanza canonico, il death metal con elementi prog del quintetto si rivela decisamente coinvolgente in fase live, grazie ad un’attenta scaletta che attinge sia dai brani migliori dell’ultimo album come l’emozionante “Citizen Cain”, che da classiche bordate del passato come la devastante “A mission undivine”. Da segnalare la prova eccellente del frontman Teddy Möller che si smazza sia le parti vocali che le parti più impegnative di chitarra, nonché il significativo apporto del tastierista Fredrik Klingwall che si ritaglia il suo spazio e funge da collante tra le parti più tirate e i momenti più melodici. Una buona prova, anche se mi aspettavo un filo di più.

LEPROUS

Devo ammettere candidamente che su disco i Leprous mi piacciono parecchio ma non mi fanno impazzire, in quanto ho sempre trovato alcuni brani un po’ troppo prolissi e fini a se stessi. Ma dal vivo tutto assume un’aria completamente diversa e i cinque giovani norvegesi sono letteralmente di un’altro pianeta. I Leprous gestiscono questo show sotto ogni punto di vista con una cura che ha del maniacale, non solo con una pulizia dei suoni incredibile grazie a ben due fonici, ma anche gestendo l’aspetto visivo con costumi di scena e due televisori che proiettano delle visual. L’abilità dei norvegesi di tenere il palco ha dell’incredibile, così come la capacità di creare un flusso costante di musica che arriva in alcuni momenti ad indurre uno stato quasi mistico di trance che unisco pubblico e band. Come ho avuto modo di dire poi alla band, era dal concerto dei Mars Volta all’Alcatraz di una vita fa (2005, ma potrei sbagliarmi) che non sentivo un trasporto ed un’empatia tale come per quel microcosmo musicale creato dai Leprous sul palco. Tanti i brani proposti per andare a coprire quasi tutta la loro produzione, con il momento più intenso a mio parere rappresentato dalla maestosa “Passing” posta però quasi all’inizio, più un paio di brani nuovi per l’album che presumibilmente uscirà tra qualche mese a deliziare gli astanti. La tecnica dei cinque ragazzi ha dell’incredibile considerando la giovane età, in media sui 26-27 anni, ma d’altronde se hanno suonato prima con gli Emperor e poi con Insahn un motivo ci sarà. Fuori dal Barrio’s sento tanta gente parlare con entusiasmo del concerto dell’anno. Come dargli torto. Per chi ama i concerti underground in location evocative questa è stata una sera che non si cancellerà mai dalla memoria. Sublime, semplicemente sublime.