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Rage + Edenbridge

Data infrasettimanale per il carrozzone Rage – Edenbridge – Freakozaks che si esibiscono per l’occasione al Fillmore di Cortemaggiore (Pc). Il pubblico non è quello delle grandi occasioni ma considerato il fatto che gli impegni di lavoro reclameranno gran parte dei presenti il risultato è già buono.

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Aprono le danze i russi Freakozaks, penalizzati da una promozione pessima (fino all’ultimo pareva dovessero suonare gli Aspect, mistero…) che per nulla intimoriti dalle premesse assalgono i presenti con un heavy dalle tinte progressive, sostenuto da una buona tecnica strumentale e un’ottima presenza scenica del cantante. 30 minuti circa per scaldare l’audience e mettere più di una pulce nell’orecchio ai presenti: quando arriveranno qui i loro dischi, siate pronti.

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Seguono a ruota gli austriaci Edenbridge, in tour per promuovere il loro prossimo album My Earth Dream, in uscita prossimamente. Il combo si avvale delle doti di frontwoman di Sabine Edelsbacher, che sembra reggere il palco molto meglio dello scorso tour, come del resto tutta la band.
La musica degli Edenbridge potrebbe essere definita come un gothic metal dalle tinte power, con una certa tendenza ai midtempo. Il loro difetto principale per quanto riguarda le esibizioni dal vivo consiste nel fatto che, a mio parere, un gruppo che come loro affida alle tastiere buona parte delle melodie principali non può prescidere da un tastierista in carne ed ossa, mentre gli austriaci (le cui tastiere in studio vengono suonate dal chitarrista) preferiscono lasciare l’incombenza a basi registrate, perdendo freschezza e compattezza d’esecuzione.
Note positive invece vengono dai pezzi tratti dal nuovo album: si nota un netto inspessimento del suono e una virata verso lidi più cupi (anche se il trademark degli Edenbridge resta sempre ben definito). La scaletta propone diversi pezzi nuovi, taglia del tutto i brani dai primi album (in cui le influenze helloweeniane erano ben più marcate) e si concentra sul repertorio di Shine e The Grand Design, scelta a quanto pare gradita dal pubblico che può scatenarsi sulla folkeggiante “Wild Chase” e rilassarsi su “Shine”. Dopo circa 45 minuti la band saluta il pubblico e lascia il campo agli healiner della serata…salvo prestarsi poi a saluti, foto e autografi a concerto concluso.

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Esauriti i convenevoli del cambio di palco, è il momento dell’evento principe della serata: sulle note della opener “Carved In Stone” del disco omonimo il trio irrompe sul palco per una performance davvero incredibile. Suoni, presenza scenica, tecnica, repertorio, ormai i Rage hanno raggiunto livelli altissimi sotto tutti gli aspetti.
La band apre lo show con quattro canzoni all’insegna dell’assalto sonoro con pochi compromessi: la già citata Carved In Stone, Drop Dead, Under Control e Soundchaser sono quattro perle di heavy-thrash di rara potenza e scatenano il pogo senza nessuno sforzo.
Dopo aver fatto tabula rasa, il gruppo decide di concedere qualcosa anche alla melodia con la commovente Days Of December, che anche spogliata delle orchestrazioni mantiene intatto il suo pathos. Alla ormai storica Refuge (tratta da The Missing Link, creato ben 15 anni or sono) il compito di aizzare di nuovo il pubblico, che canta ogni singolo verso del pezzo.
A questo punto assistiamo a un’inedito pressochè completo nella storia dei Rage: sul palco sale Jen Majura, ottima insegnante di chitarra alla scuola di Victor Smolski e cantante altrettanto valida, e i Rage si trasformano in una quartetto con voce maschile e femminile per due pezzi che ne abbisognano assolutamente: Lord Of the Flies e Dies Irae sono due episodi epici e sinfonici all’inverosimile, e complice la prova davvero magnifica dell’avvenente Jen strappano applausi più di ogni altra canzone della serata.
Chiusa la parentesi sinfonica con Beauty, estratta dalla suite Lingua Mortis, la band torna alla “normalità” con la nuova “Lost In The Void”, a cui fa seguito un altro estratto dalla Lingua Mortis Suite, stavolta tocca all’emozionante No Regrets. A questo punto l’istrionico Peavey Wagner (peraltro in forma smagliante) si prende una meritata pausa e lascia il palco a Victor Smolski, che omaggia il pubblico con un prolungato assolo di chitarra su una cangiante base elettronica, confermandosi uno dei chitarristi più geniali, originali e personali della scena metal, oltre che un virtuoso di prim’ordine.
A questo punto per riprendere le fila dello show i Rage snocciolano altre bordate di metal incandescente: Unity, Down e Set This World On Fire sono altri episodi estremamente riusciti nella storia dei Rage, e il nuovo batterista Andre Hilgers riceve la sua giusta ovazione (era effettivamente difficile sostituire Mike Terrana senza farlo rimpiangere).
Ormai questo gruppo ha un tal numero di classici che non è possibile riproporli tutti in una volta, quindi in chiusura dello show il trio propone un Medley che dall’iniziale Long Hard Road (dall’ultimo disco) passa a due classici come Higher Than The Sky e Don’t Fear The Winter, a prosciugare gli spettatori di tutto il fiato rimasto.
Gli immancabili bis, Open My Grave e Straight To Hell, sono il degno suggello di un concerto davvero da incorniciare, a conferma che i Rage sono uno dei gruppi più sottovalutati dell’ultimo decennio.