Quando ho deciso di recensire questo nuovo (ultimo?) lavoro degli AC/DC già sapevo che avrebbe scatenato in me moltissime emozioni, ho alle spalle molte primavere e mi ricordo come fosse ieri quando uscì “Back in Black” ben 34 anni fa, era il 1980 e insieme ai primi due album degli Iron Maiden e a “British Steel” dei Judas Priest segnò definitivamente la mia strada in ambito musicale.
Di certo gli AC/DC non hanno bisogno di presentazioni, non mi dilungherò quindi in alcuna descrizione di sorta; la loro storia è ben nota ed è risaputo che, quello che è stato il loro momento più triste cioè la morte di Bon Scott, paradossalmente, si è trasformato in ispirazione per scrivere uno dei pilastri su cui si fonda la musica Hard ‘n Heavy anni 80, “Back in Black” appunto.
Da quel momento sono diventati un icona, e sebbene con l’andare del tempo il loro sound non abbia mai in nessun modo subito un evoluzione, anzi, l’ispirazione è andata via via scemando non riuscendo più ad assestarsi sui livelli di quegli album, l’appuntamento con un live degli AC/DC rimane comunque uno di quegli eventi ai quali bisognerebbe assistere almeno una volta, ancora oggi vedere Angus Young saltellare vestito da scolaretto alla veneranda età di 60 anni non può lasciare indifferenti.
Ma in tutto questo come si colloca questo nuovo “Rock Or Bust“? Per iniziare diciamo che coincide purtroppo con un altro momento poco felice della band, come saprete il fratello di Angus, Malcolm Young ha dovuto lasciare il gruppo dopo ben 40 anni a causa di gravi problemi di salute, e il batterista storico Phil Rudd è alle prese con problemi legali; tutto ciò non ha però impedito che l’album venisse pubblicato, e c’è da dire che probabilmente nella musica la band ha trovato ancora una volta lo stimolo necessario; “Rock or Bust” non è un brutto disco, sicuramente viste le vicissitudini risulta forse un po’ incompleto, i brani superano tutti di poco i tre minuti e il disco complessivamente arriva sui 35, una durata insolita per gli standard moderni ma quello che hanno da offrire gli AC/DC ci sta abbondantemente in questo tempo; nei pezzi troverete come sempre la granitica Gibson Diavoletto di Angus con i suoi riff e le sue scale pentatoniche, la voce roca di Brian Johnson e la solita base ritmica più semplice che mai; ma tutto questo vi farà comunque battere il piede e muovere la testa a tempo, perché gli AC/DC questo sanno fare, e lo sanno fare sempre bene.
Non troverete novità di sorta in questo disco, anche se è forse il più riuscito degli ultimi prodotti. Parlare delle canzoni singolarmente non avrebbe molto senso, il loro hard-rock ‘n roll è immutato da decenni e lo stile è sempre lo stesso; anche qui, a parte un paio di pezzi, il ritmo è molto cadenzato. Sicuramente l’energia non è più quella di una volta ma se siete dei loro fans o anche solo se vi piace inserire un loro CD in macchina quando siete in autostrada allora vi godrete anche questo Rock or Bust. Dare un voto oggettivo mi risulta molto difficile, quello che volevo fare, più che una recensione era dare un mio piccolo tributo a questa band che con i suoi dischi mi ha accompagnato e ha segnato la storia musicale mia e di molti altri in questi 40 anni, le canzoni degli AC/DC probabilmente si riascolteranno anche tra 50 anni, una cosa della quale pochi si possono vantare e aggiungo che di questi tempi dove in ambito musicale si mette in mostra più il virtuosismo che il cuore, poter ascoltare un CD che per vari motivi ti possa emozionare è cosa rara.
