Mi sono avvicinato con molta curiosità a questo gruppo del quale in rete si leggevano pareri anche entusiastici e, visitandone il sito, la prima cosa che balza all’occhio è la scritta che campeggia sotto il loro logo, “The most Metal band on earth” , con il sorriso sulle labbra comincio quindi a spulciare nelle pagine e ho la conferma di quello che supponevo, cioè che loro per primi non si prendono troppo sul serio; da applausi i nomi d’arte che si sono scelti i singoli componenti e soprattutto la Bio della band ( che raccomando a tutti, merita assolutamente una lettura ndr ), è un inno alla goliardia sul True Metal, in un passo addirittura sostengono che i Manowar abbiano bussato alla loro porta chiedendogli di abbassare il volume della loro musica… ahahah grandi!
Aggiungiamo che si presentano sul palco vestiti con corpetti e elmi derivanti direttamente dalle uniformi degli antichi greci e romani e l’immagine è completa.
Fatta questa dovuta e necessaria introduzione passiamo ad analizzare ciò che più ci interessa, il loro nuovo album “Frostburn”; come già accennato in molti hanno tessuto le lodi di questi ragazzi americani sostenendo addirittura che siano i nuovi esponenti dell’ Heavy Metal di ottantiana memoria; dico subito che secondo me, che ho parecchie primavere alle spalle, chi ha scritto questo probabilmente gli anni ’80 non li ha mai vissuti; il loro sound è si decisamente derivante da quel periodo ma siamo ben lungi dall’essere sui livelli citati.
Detto questo, Frostburn è un buon disco di Metal, pieno di rimandi agli anni d’oro, con un pizzico di modernità ma che non ha nulla che lo faccia risaltare in modo particolare; le tracce non spiccano certo per originalità o per virtuosismi, anche se ben fatti rimangono abbastanza banali se pur energici e divertenti per un facile ascolto, e proprio questo è, a mio parere, il loro punto di forza; Frostburn è sicuramente un disco per gli amanti del Metal Old School ma che potrà facilmente trovare posto nelle vostre playlist.
In generale ho trovato che la band dia il meglio di sé nelle track più veloci, quando si alzano i bpm, un po’ meno convincenti negli slow/mid tempo dove il “tiro” fa la differenza; per questo tra i brani segnalo la opener “Knights Of The Dragon’s Deep”, “Winds Of The Storm” (da cui è stato tratto un video), “Kill to Die” e “Light This City”; buone anche se meno veloci “Haze Of The Battlefield” e “Shattered Skies”; non che le altre siano negative, hanno solo meno mordente delle citate.
In conclusione un disco da ascoltare senza troppe pretese ma che nel complesso riesce nell’obiettivo di farvi divertire e passare tre quarti d’ora in maniera spensierata.
P.S. andate a dare un occhiata al loro sito, se masticate un po’ di inglese vi regalerà molti sorrisi.