Un viaggio attraverso lo sfarzo e l’eleganza di un Settecento francese, dal trionfo dell’assolutismo splendente del Re Sole, all’Illuminismo, alla complessità semantica di una Rivoluzione senza precedenti, nel periodo di transizione fra un tecnicismo barocco, un sentimentalismo galante ed un’espressività classicista: quanto può essere racchiuso davvero in un solo album?
Un esperimento in grande stile quello della band modenese Sleeping Romance, che dopo un lungo periodo di gavetta nella realtà italiana, rilascia il suo primo album di debutto dal titolo “Enlighten“.
Mai nome fu più appropriato ad un album che apre uno spiraglio luminoso su un genere ormai vissuto e ascoltato nelle più svariate sfaccettature: un Symphonic Metal dalle caratteristiche piuttosto innovative, a partire dalla voce di Federica Lanna, che non si cimenta in uno stile lirico, bensì leggero, collocandosi nel mezzo fra vocalità simili, come quelle di Ailyn (Sirenia) e Sharon Den Adel (Within Temptation), fino a giungere alle orchestrazioni assolutamente lontane da ciò che il Metal moderno propone, quanto invece più vicine ad un concerto per archi di Vivaldi o Mozart.
Ad un primo ascolto ciò che emerge è la simmetria dell’album: due tracce strumentali, “Hybrid Overture” e “Aeternum“, rispettivamente ad aprire e chiudere la produzione, per introdurre e affermare l’impostazione epica e classicheggiante.
L’essenza del disco è, però, racchiusa completamente nel primo singolo “The Promise Inside” e nella titletrack “Enlighten“, dove emergono a pieno tutti gli strumenti, creando un contrasto fra ritmi e melodie, a richiamare lontanamente le grandi colonne sonore, senza perdere la struttura di una vera e propria canzone.
Una venatura Doom emerge con “Soul Reborn” e “Free Me“, mentre “December Flower“, la ballad di questa produzione, lascia trasparire delle melodie gotiche. “Finding My Way“, “Passion Lost” e “Devil’s Cave” sono, invece, tracce costruite sulla scia del tipico Symphonic nordeuropeo: orchestrazioni molto presenti, riff cattivi e ritmi serrati.
Un album complessivamente buono, particolare, ma mai eccessivo, consigliato non solo agli amanti del genere sinfonico, ma ad un qualsiasi ascoltatore che apprezzi una voce femminile nell’ambito dell’Alternative Metal.