Mi domando sempre perché una band scelga di riregistrare un capitolo del proprio passato…tralasciando il lato volutamente commerciale, scovare una vera motivazione è difficile. Nostalgia? Momento di piatta compositiva? Tentativo di rinverdire il passato con la nuova formazione? Tutte cause possibili e nessuna dominante.
I Sonata Arctica sono una band dall’aurea creatività e dal difficile compromesso. Nemmeno sei mesi fa li vedevamo tornare con “Pariah’s Child”, opera di tutt’altro che facile assimilazione, e ci ritroviamo al cospetto di una nuova uscita…e di ‘nuova’ si tratta veramente, dato che questa versione del debut “Ecliptica” è stata totalmente riregistrata. Spulciandola a dovere, è facile intuire che sia stata presa la scelta più ovvia, ovvero di reinterpretare in chiave ‘live’ i dieci brani, evitando le ‘sboronate’ (espressamente vocali) che contornavano il primo capitolo (e che mr. Kakko ha raramente riproposto on stage).
In termini di produzione il confronto non regge, in quanto l’originale è diversi piani più in basso (nonostante i Finnvox Studios alle spalle); i suoni sono limpidi e rotondi, dove la coesione tra batteria e chitarre da un tiro che, diciamocelo, prima non era nemmeno rasentato. Le performance sono professionali ma fredde, specialmente nelle voci (il buon Tony appare ‘assente’ nell’interpretazione) e nelle parti di chitarra solista (l’estro di Jani Liimatainen non è facilmente replicabile).
Le songs? Beh, credo che le sole “Blank File”, “My Land”, “Fullmoon” e “Destruction Preventer” dichiarino la qualità del disco, dove solo la anonima “Unopened” ne spegne la fiamma vincente; rimane sempre un piacere ascoltare perle come le struggenti “Replica” e “Letter To Dana”, così come scapocciare per “8th Commandment” e “Kingdom For A Heart” penso sia ormai un riflesso naturale. In aggiunta troviamo la cover di “I Can’t Dance” dei Genesis, piuttosto singolare come scelta perché appartenente a uno dei dischi dell’ultimo periodo della band inglese.
Tirando le somme, posso solo dire che a “Ecliptica Revisited” manchi quel candore e quella ‘rabbia’ che ha fatto della versione del 1999 un must… ma ascoltare certe canzoni e rileggerne i testi sempre carichi di delusione amorosa e angoscianti sguardi verso il passato rimane sempre emozionante. Ma, per quel che mi riguarda, torno a riascoltarmi l’originale.