C’è furbizia e furbizia. C’è chi è furbo sapendo di non avere ne arte ne parte (plagio) e c’è chi è furbo con coscienza, prendendo spunto da quanto creato da altri ma avendo il gusto di farlo proprio e di esternarlo con personalità.
Gli Stahlmann sono questo; appartenenti alla schiera ‘crucca’ dedita al cosidetto tanz-metal, girone infernale che fa dei 4/4 tipicamente ‘quadrati’ il proprio credo, si erano già distinti con il primo omonimo disco di un annetto fa ed ora sviscerano, sempre sotto AFM, questo nuovo “Quecksilber”; al di là dell’immagine che una band può avere (un’ottima combinazione di ego e marketing), la band ha il vantaggio di aver la strada spianata da una produzione limpida e perfetta, con suoni freddi e taglienti come l’inverno nella Rhur e un mastering che riesce a far esplodere l’intensa aggressività del combo.
Se il debut rimaneva spudoratamente nei canoni dettati dai grandi nomi del genere (chi ha detto Rammstein???!), in “Quecksilber” esce l’amore morboso del quintetto per la musica elettronica e la ruffianissima dance; se pensate che possa essere un assurdo tentativo, mi duole informarvi che questa nuova verve ‘commerciale’ della band apre nuovi e interessanti punti di interesse.
Oltre al singolone (che a mio parere rimane uno dei punti più piatti del disco) “Tanzmaschine”, ci sono song come l’opener “Engel Der Dunkelheit”, “Mein Leib” e “Goetter” che spakkano le gambe per marzialità e capacità d’arrangiamento; di grande effetto anche “Spring Night”, “Am Grunde” e “Diener” che spingono molto sulla parte elettronica, dove troviamo sempre meno metal e sempre più contaminazioni dance.
“Quecksilber” rappresenta la giusta maturità di una band che ha faticato molto per tirarsi fuori dall’Ordine dei Cloni. Un disco da ascoltare tutto d’un fiato, cercando di scoprire poco alla volta il volume creativo di Mart e soci.
