Con sedici album in studio e tre decenni di attività, i Tankard si possono tranquillamente considerare una garanzia nel thrash metal europeo, anche se spesso sono stati sottovalutati da pubblico e critica, hanno creato un sound monolitico e potente immediatamente riconoscibile. Detto questo, è chiaro che stiamo parlando di un gruppo dal quale non ci si aspettano innovazione e tecnicismi, ma il proseguimento di un percorso di trentennale violenza immersa in fiumi di alcol: eccovi servito “R.I.B.“, nuova fatica del quartetto di Francoforte trascinato dal mastodontico Gerre.
L’album parte bene, diretto e convincente, ma alla lunga risulta un po’ ripetitivo anche per lo standard del gruppo; rimane in ogni caso un album discreto, aggressivo al punto giusto, da avere se siete già fans affezionati della band.
“War Cry” è un ottimo pezzo, impegnativa e lontana dall’atmosfera godereccia e scanzonata del gruppo, gode di una solida struttura e di gran carattere; stesso discorso per la successiva “Fooled by Your Guts“, convincente e cattiva, regala ai Tankard un inizio davvero interessante. La title-track torna ad alleggerire i toni, almeno per quanto riguarda le lyrics, ma non perde niente in potenza: il riff è una macina con un andamento quasi doom, ben cadenzata, si apre all’epicità che caratterizza bene i nostri.
“Riders Of The Doom” farà contenti tutti gli amanti dell’headbaging sfrenato con il suo incedere battente, un mid-tempo creato ad arte da Olaf Zissel e seguito a rotta di collo da Andreas Gutjahr, così come le successive “Hope Can’t Die” e “No One Hit Wonder“, che non brillano certo come punte di diamante del genere, ma si amalgamano bene in un buon trittico sfasciaossa.
“Breakfast For Champions” è davvero molto semplice, a tratti banale, ma tutto sommato efficace se pensata anche in sede live. “Enemy Of Order” è Tankard allo stato puro, potreste inserirla senza nessun problema in un album qualsiasi della loro discografia e nessuno la troverebbe anacronistica. “Clockwise To Deadline” è veloce ed ossessiva, ma si rivela come uno dei punti più deboli dell’album. A risollevare il tono ci pensa la conclusiva “The Party Ain’t Over ‘Til We Say So”, divertente e sfrontata, esattamente quello che ci si aspetta dai Tankard, che risultano forse un po’ appannati rispetto alle uscite degli ultimi anni, ma che non deludono i fans di vecchia data con un album fedele al thrash metal e al carattere del gruppo.