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Andrea Griselli – CAGE

Sono in giro da più di 25 anni ma continuano senza sosta a macinare kilometri per concerti e a produrre musica nuova. Stiamo parlando dei Cage, gruppo rock dalle tinte progressive che abbiamo avuto il piacere di intervistare, nella persona di Andrea Griselli (il batterista, nda), che ci ha parlato del loro ultimo lavoro, “Images”, e di quello che bolle in pentola ora. Ecco com’è andata:

 

Ciao Andrea, partirei dal vostro disco “Images”: è uscito da diversi mesi, com’è stato il responso da parte di pubblico e critica?

Il riscontro è stato inaspettatissimo. Suoniamo dal 1992, ma non abbiamo mai avuto un riscontro così positivo e soprattutto così trasversale come oggi. Per trasversale intendo che le critiche positive siano arrivate da ambienti diversi tra loro: hard rock, progressive, pop. Ovviamente siamo rimasti contentissimi.

In efetti secondo me il pregio dell’album e della vostra proposta è proprio suonare musica comunque accessibile, ma arricchendola di particolari e sfumature decisamente più ricche, un po’ come facevano i Toto…

Ti ringrazio. Essere paragonati ai Toto intanto per me è un enorme complimento. Hai centrato in pieno. Abbiamo radici storiche prettamente prog; il nostro primo vinile, edito dalla Toast Records di Torino, era un’opera in quattro atti senza nessuna interruzione. Poche parti cantate, molto spazio allo strumentale, tecnicismi molto espressi, scuola King Crimson, Genesis, Yes e gruppi affini. Avendo respirato quelle influenze a 14 o 15 anni era ovvio che ci esprimessimo in quel modo. Per questo disco ci sono stati dei turn over importanti rispetto alla band del passato. Abbiamo cercato di unire all’esperienza pregressa quelli che erano i nuovi ingressi in formazione, di musicisti più giovani. Abbiamo ascoltato il background di ognuno di noi, ed è venuto fuori “Images”. Per esempio, Diletta Manuel (cantante del gruppo, nda) ha una voce moderna e lei stessa è cresciuta con maestri dall’approccio moderno al canto. La cosa piacevole è che ora ai concerti abbiamo un pubblico di qualsiasi età. Abbiamo cercato di dare spazio alla melodia, e al contempo abbiamo cercato di fare in modo che poggiasse su un letto che non perdesse le nostre radici storiche. La causa principale di questo è stata una composizione a 360 gradi.

Volevo appunto chiederti come nasce un pezzo dei Cage, se sia opera dei singoli o lavoro d’insieme…

le idee di partenza nascono da me o da Andrea Mignani (chitarrista del gruppo, nda), però sono scheletri sul quale poi lavoriamo tutti assieme. L’apporto delle tastiere attuali è una ventata di tecnologia, perché Damiano Tacchini (tastierista del gruppo, nda) è un musicista che ama anche sperimentare sonorità d’avanguardia. Lui lavora molto su creare di testa propria dei suoni che possano amalgamarsi con la struttura del brano. Lo stesso possiamo dire per la voce; se anche la linea melodica è già pronta, Diletta ci mette del suo in base a come sente e a come preferisce interpretare la melodia. Questo anni fa succedeva meno perché nella vecchia formazione componeva una sola persona, Alessandro Bugliani.

Oltre a cambiare approccio alla composizione, in 20 anni, coi progressi della tecnologia, è cambiato anche l’approccio al metodo di registrazione…

Sì, oggi abbiamo un approccio con lo studio quasi continuativo. Siamo in un’epocain cui determinate idee e suoni devono stare dentro schemi digital, mentre una volta c’erano più libertà artistiche sotto questo punto di vista. Lo studio oggi è come un membro in più del gruppo, e il produttore una persona necessaria per capire le tue esigenze musicali.

A distanza di mesi, c’è qualcosa in “Images” che cambieresti?

Sì, sempre. Io personalmente non sono mai completamente soddisfatto, mi vengono nuove idee in continuazione. Tutt’ora mi capita di ascoltare dischi vecchi e di pensare “se tornassi indietro farei così”. “Images” comunque rispecchia in gran percentuale quello che volevamo. La stessa cosa comunque ci succede nei live: ci sono cose differenti che aggiungiamo di volta in volta, di concerto in concerto. Una volta era una pratica diffusa, ed era bellissimo. Si acquistavano i bootleg e, parlando con gli amici, c’era sempre quello che vedendoti con in mano un disco ti diceva “sappi che c’è una versione completamente diversa di quel pezzo in quel bootleg”. Oggi è più difficile, dal vivo senti una perfezione incredibile, ma il suono medesimo del disco.

Rimpiangi un po’ quei tempi?

No, non li rimpiango, l’approccio con la tecnologia odierna ormai per noi è vitale.

Come già comunicato da voi in altre occasioni, “Images” è la prima parte di un lavoro più ampio, che vedrà il suo completamento a fine 2019. Puoi anticiparci qualcosa a riguardo?

Sì, “Images” è un concept album che andrà a collegarsi col nostro prossimo lavoro. Lo pubblicheremo a fine 2019, spero, o nei primi del 2020. A livello tematico c’è un tema conduttore. I testi sono scritti da Damiano Tacchini e da Giulia Curti (voce e percussioni, nda). Abbiamo ovviamente già iniziato a lavorarci, e siamo più o meno a metà del lavoro, ma rimane comunque ancora un bel po’ da fare. Quando abbiamo registrato “Images” avevamo più libertà di tempo. Ora, col disco è in promozione e i concerti, non è sempre facile organizzarci tra studio, live e ore di sala prove. Abbiamo un po’ di pressione, anche considerando che purtroppo questa non è la nostra attività principale. Gran parte di noi ha un altro lavoro, svincolato dalla musica.

Avete in programma dei concerti nel futuro prossimo?

Sì, tra maggio e giugno suoneremo a un festival progressive fiorentino; suoneremo poi a La Spezia il 18 luglio, a Sarzana il 18 agosto e stiamo organizzando altro in questo periodo. Non ci sono gli spazi di una volta e noi siamo un gruppo piuttosto ingombrante, essendo sei persone, ma il mercato musicale indipendente si sta risvegliando, e questo vive di live.

Quali elementi deve avere un brano dei Cage?

La cosa positiva all’interno del gruppo è che siamo amici e parliamo molto. Cerchiamo lo stesso filo conduttore nelle relazioni e nella musica. Senza capire quale sia l’obiettivo, ci accorgiamo quando lo abbiamo colto. Perciò per venire alla tua domanda, quando capiamo che la cosa funziona, lo notiamo tutti. La sintonia è tale per cui, improvvisando diversi arrangiamenti, notiamo tutti quando un brano va bene.

Siamo in chiusura. Di solito ci piace chiedere ai nostri intervistati quali tre dischi salverebbero da un ipotetico incendio. Cosa risponderesti tu?

Se dovessi sceglierne tre direi: “The Lamb Lies Down on Broadway” dei Genesis; “White Album” dei Beatles, e a questo proposito ti dico che nessuno crede mi piacciano, ma in realtà per me sono il gruppo più influente nella storia del rock, e infine scelgo qualcosa di più moderno, visto che bisogna guardare anche avanti. Il disco è “The Raven that refused to sing” di Steven Wilson, bellissimo e ambizioso. So già che il tastierista quando leggerà l’intervista mi chiederà dove ho dimenticato i Pink Floyd!

Giustamente, come la vostra musica, un occhio al passato e uno al futuro. L’intervista è conclusa, grazie per il tuo tempo. Se vuoi, puoi lasciare un messaggio ai nostri lettori.

Grazie a te! Volevo salutare tutti e invitarvi a seguirci sulla nostra pagina facebook e sul nostro canale youtube.