“Armor of Light”, uno dei migliori dischi in ambito heavy/power metal del 2018, ha segnato il ritorno in grande dei Riot V, ovvero del quinto corso della leggendaria band americana capitanata dal fu Mark Reale. Prima del concerto al Legend Club di Milano siamo riusciti a intercettare per una manciata di minuti Don van Stavern, bassista del gruppo dall’epoca di “Thundersteel”, di cui quest’anno si celebra il trentesimo anniversario. Eccone il resoconto.
Ciao Don, come stai?
Ciao! Tutto bene, è sempre bello essere in Italia, uno dei paesi dove ci amano di più. Siamo molto contenti di essere qui, a suonare con i Primal Fear!
Parliamo di “Armor of Light”. È stato pubblicato ormai da diversi mesi; quale è stata la reazione del pubblico?
è molto gratificante per noi che i fans abbiano apprezzato “Armor of Light”. Oltre a questo, il nostro ultimo disco ci ha visti accasati a una delle più grosse etichette metal, la Nuclear Blast. Grazie a loro potremo crescere ancora. I risultati di vendita raggiunti in Germania e in Giappone sono stati strabilianti, ed è bello che dopo 16 album ci sia ancora molto interesse in noi.
E avete appena pubblicato in vinile il live dal Keep it True del 2015. Puoi raccontarci qualcosa di quel concerto?
Sì, il Keep it True è stato un festival importantissimo per noi. Abbiamo suonato senza Mark (Reale, leader e chitarrista del gruppo, deceduto nel 2012), che era mancato da relativamente poco tempo. Per noi, quegli anni sono stati un periodo difficile, ma lo spirito di Mark era lì, su quel palco. È stato un grande festival, e quando la Nuclear Blast è venuta con quest’idea di stampare la registrazione del concerto su vinile, beh, siamo stati entusiasti.
Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario di “Thundersteel”, e quello fu il primo album dei Riot nel quale suonasti. Avevi previsto, durante le registrazioni, che quel disco sarebbe diventato un classico?
“Thundersteel” ha un posto speciale nel mio cuore per due motivi. Innanzitutto perché, come dici tu, è il primo disco in cui ho suonato. Mark voleva cambiare un po’ sonorità; fino ad allora eravamo più un gruppo heavy rock, ma in quel momento Mark voleva fare un album più power metal, e suonare come i Judas Priest. Il secondo motivo è che lui mi ha fatto partecipare molto alla composizione dei brani sul disco. Ho scritto gran parte del materiale su “Thundersteel” ed è stato bello perché Mark ha creduto in me. Sapevamo di stare facendo qualcosa di interessante, una specie di “Fire Down Under” al passo coi tempi, nel nostro stile ma decisamente più potente; il produttore di allora ci disse “wow, è molto pesante per i Riot!”, sai, la doppia cassa di Bob Jarzombek, la voce stratosferica di Tony Moore…
…e alla fine siete stati voi ad anticipare i Priest: “Thundersteel” e “The Privilege of Power” hanno anticipato “Painkiller”…
Sì, ma con “Painkiller” ci hanno fatto il culo! (ride, nda) Sai, un amico una volta scherzando mi ha chiesto come ci si sente ad aver composto un disco che sembra aver influenzato i Judas Priest… che dire, sono stati da sempre una delle mie band preferite, sarebbe molto gratificante se fosse davvero così.
In ogni caso l’attenzione che vi è riservata per il trentennale di “Thundersteel”, che sarà anche ripubblicato a breve, deve essere qualcosa di molto positivo per voi…
Sì, abbiamo una o due pubblicazioni tra novembre e dicembre, in Europa e in Giappone, contenenti anche filmati di alcuni concerti in cui abbiamo suonato tutto o parte di quel disco. Per venire alla tua domanda, sì, è molto bello, ma allo stesso tempo talvolta è veramente duro convivere con questa eredità, perché è un disco talmente iconico che la gente vuole sentire sempre quello. Aldilà del Giappone, dove abbiamo riproposto il disco integralmente, anche a Wacken quest’anno i promoters volevano che suonassimo tutto “Thundersteel”, ma noi avevamo nuova registrazione, quindi abbiamo trovato una soluzione di compromesso. È difficile perché sappiamo che “Fire Down Under” è un classico e che “Thundersteel” è un altro classico, ma dobbiamo suonare qualcosa anche degli altri dischi (ride, nda)
Personalmente, apprezzo molto “The Brethren of the Long House” e il concept che ci sta dietro…
Quello è in gran parte opera di Mike (Flyntz, chitarrista, nda). Lui e Mike DiMeo (uno degli ex cantanti del gruppo, nda) erano e sono grandi fan di Rainbow e sonorità affini, e puoi sentire il suo apporto in “Armor of Light” su brani quali “Set the World Alight” o “End of the World”. Io sono più per sonorità alla “(Sign of the) Crimson Storm” o “Thundersteel”.
Cosa dobbiamo aspettarci dai Riot V nel futuro prossimo?
Due cose bollono in pentola: innanzitutto, pubblicheremo un nuovo album nel 2020. Nel 2019 faremo finalmente un tour americano, perché sai, negli Stati Uniti ci chiedono spesso perché non facciamo un tour in patria (poi cambia tono di voce, nda): perché è meglio in Europa, mi spiace! A fine 2019 registreremo il nuovo disco, che uscirà nel 2020.
Ok, Don, questa è la mia ultima domanda: in recenti interviste hai dichiarato che il titolo “Armor of Light” ha un significato cristiano. Ti va di parlarcene?
Certo. “Armor of Light” è un disco molto importante per noi. Dopo che Mark se ne è andato abbiamo pubblicato “Unleash the Fire”, il quale era più un tributo. Il nuovo inizio è “Armor of Light”. Su questo disco Todd Michael Hall ha scritto la maggior parte dei testi. Lui è un uomo molto positivo, attaccato alla famiglia, quindi il messaggio nei suoi testi è altrettanto positivo. Per quanto riguarda il titolo, si riferisce a un passo della Bibbia in cui si invita l’uomo a non stare nell’ombra, nella notte, nel male, ma a risplendere nell’armatura della luce. (Bibbia, Romani, 13:12 La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce, nda.)
Bene Don, l’intervista è conclusa. Grazie per la disponibilità e buon concerto!
Grazie a te!