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DOOMSWORD – The Forger

Grande era l’attesa, grande è stato il risultato: i DoomSword sono tornati con un grande disco, che amplia il raggio d’azione della band senza snaturarla, ma conferendole invece un’identità musicale ancora più affascinante e poliedrica.
The Forger, chitarrista ritmico del gruppo, ci ha fatto approfondire la conoscenza del processo creativo che ha portato all’album e altri importanti temi della vita della band…

Dato che negli ultimi anni sono trapelate solo poche notizie sul vostro conto e c’è stato qualche aggiustamento all’interno della band, volevamo sapere come hanno influito i nuovi entrati nel processo creativo della band.

Sicuramente per la prima volta i DoomSword sono una band al completo, ognuno ha dato il suo contributo, non che in passato la cosa non succedesse, ma stavolta ciò è avvenuto in misura maggiore; c’è sempre un Deathmaster che fa la maggior parte del lavoro e lo fa molto bene, però a differenza degli album precedenti c’è stata più partecipazione sia a livello decisionale, che in fase di composizione.

Ha avuto un suo peso la lontananza di Deathmaster dall’Italia?

L’unico peso che può avere avuto è stato il fatto di aver ritardato di qualche mese l’uscita del disco, ma non credere che questi tre anni siano passati perché Deathmaster era lontano, ci è servito del tempo per gestire un po’ di cose che riguardavano la nostra vita privata, niente di più e niente di meno. A livello di band ci è servito per capire i punti che volevamo raggiungere, questo ci è servito sicuramente.

C’è stato un approccio diverso alle nuove composizioni, è talvolta subentrata una certa preoccupazione di non riuscire a confermare il livello qualitativo delle uscite precedenti?

Ogni volta che fai un disco non dico che ci sia preoccupazione, ma essendo i DoomSword una band che pubblica dischi uno diverso dall’altro, ci si chiede come la gente lo prenderà; noi arriviamo da un disco come “Let Battle Commence” che andava a toccare tematiche e sonorità viking metal, mentre con “My Name Will Live On” abbiamo deciso a priori di fare un disco che fosse più vicino all’heavy metal classico, è normale che ci si chieda quale potrà essere la reazione del pubblico. Però vera preoccupazione non ce n’è mai stata, se ci preoccupassimo ogni volta di quello che stiamo facendo staremmo molto più attenti alle nostre mosse e probabilmente cadremmo anche nell’errore di ripeterci, questo invece non è mai successo, perché bene o male ogni disco, pur avendo la matrice DoomSword, è diverso dall’altro.

Nel processo creativo lo stato d’animo di ognuno di voi ha un peso determinante sulla musica oppure siete sempre riusciti a scindere l’aspetto creativo da quello personale, quasi che la musica stesse al di fuori del resto della vita quotidiana?

Per Deathmaster, ad esempio, il fatto di vivere in Irlanda è servito; ha più volte confermato a noi e l’ha detto anche in molte interviste che, trovandosi in una terra di cui noi avevamo sempre parlato ma che personalmente non aveva mai visto, ha potuto sperimentare che è una terra dove si vive in maniera diversa rispetto all’Italia, da quello che mi ha raccontato io stesso, che pure non sono mai stato in Irlanda, non posso che essere d’accordo con lui sul fatto che si viva in maniera diversa rispetto a come si vive qua da noi. Mi ha detto che la sua permanenza in Irlanda ha influito moltissimo sulle tematiche che è andato a scegliere per le liriche dei pezzi, che ha scritto lui in toto a parte Thundercult scritta da Geilt, mentre per noi che siamo qua non posso dire che le emozioni personali abbiano avuto tutto questo peso sui pezzi finiti. Le emozioni del momento sono più quelle che ti fanno tirare fuori il riff, magari se sei un po’ malinconico tiri fuori un riff fatto in una certa maniera che poi potrà diventare un’idea per una canzone ma non possiamo parlare di emozioni personali per quanto riguarda le canzoni finite.


Quanto è difficile portare avanti un percorso artistico come quello dei DoomSword, fatto di coerenza, passione, quando ci sono grosse difficoltà a suonare dal vivo, almeno in Italia, grosse difficoltà a farsi apprezzare da un pubblico più ampio di quello che ascolta epic metal e con la presenza di tanti mestieranti che ottengono più consenso di voi?

Ma no, non è difficile, per quanto ci riguarda non possiamo nemmeno lamentarci più di tanto perché conosco altri gruppi che se la passano molto peggio; poi dipende sempre da dove la band vuole arrivare, i DoomSword sono un gruppo che fa parecchi sacrifici per suonare, perché comunque fare un disco in tutte le sue parti, preparare i libretti, scegliere la cover, sono tutte cose che portano via molto tempo e i DoomSword hanno comunque un lavoro primario che dà da mangiare. Queste sono le difficoltà principali, ma una volta che hai chiarito questo aspetto e di questo ti garantisco che tutti noi ne siamo consapevoli, sai che per suonare queste sono le condizioni e come lo facciamo noi lo fanno altre band più famose.
Ma una volta che hai deciso di andare avanti in questo modo, ti assicuro che noi come DoomSword non ci possiamo lamentare di niente, abbiamo un’etichetta che ci ha sempre trattato bene, le stesse date live non mancano, nel senso che se fosse per tutta la gente che ci chiede di suonare faremmo parecchie date anche in Italia. Il problema è sempre quello di far combaciare il tutto con la propria vita privata, di certo non posso dirti che non suoniamo in Italia perché non ci chiamano mai, questo non sarebbe vero, se dicessi una cosa del genere tanti mi lincerebbero, da anni tante persone stanno cercando di farci suonare in Italia. Per farti un esempio c’è un ragazzo di Verona, Max, che da alcuni anni ci prova a organizzare un nostro concerto, un paio di volte c’era quasi riuscito, poi per disgrazie varie non si è riuscito a concludere niente; spero comunque un giorno che si riesca a suonare in qualcosa organizzato da lui.

Avete mai pensato di immettere elementi di rottura nel vostro suono, cose più sperimentali, influenze death…?

I DoomSword quando compongono tendono a tenere una certa linea, come dicevo prima abbiamo sempre deciso prima di iniziare la composizione dove si doveva andare a parare, per cui se decidiamo di fare un album heavy metal, non inseriamo nel contesto death metal o altre cose al di fuori del genere, a parte il fatto che, personalmente, non mi piacciono miscugli di questo tipo, non mi sono mai piaciute le band che lo fanno o lo hanno fatto in passato. Da questo punto di vista i DoomSword sono una band purista, al massimo come in My Name Will Live On si fa la canzone più veloce o quella più lenta. Steel Of My Axe va ad essere quasi una canzone power metal, anche se io non amo questo termine, mentre una Thundercult è sicuramente più doomy.

E quali sono i tuoi ascolti di solito?

Ascolto sempre dell’heavy metal anni ’80, se devo parlare di qualcosa di più moderno, prediligo sempre qualcosa che rimanga in tema; una band che nomino sempre poco in queste interviste sono i Sacred Steel, che tra l’altro conosco, che è una band che rimane su sonorità anni ’80 e parlando di band ancora più giovani, l’ultima che mi è piaciuta davvero tanto sono gli Assedium, di cui sono anche amico.

Pensate di rendere meglio dal vivo o su disco?

Difficile risponderti, non è che una cosa ci venga meglio o peggio dell’altra, su disco i DoomSword si concentrano di più su quello che è l’effetto della canzone, nel disco ci sono anche delle parti in sottofondo, dei rumori di asce, fuochi, rumori di battaglia, che contribuiscono ad aumentare l’effetto della canzone, aspetto che dal vivo viene totalmente eliminato. Ci concentriamo di più sul fatto che le canzoni siano una mazzata e il più delle volte ci riusciamo, anche le canzoni più lente riescono a suonare davvero potenti, la gente sotto il palco si esalta e si gasa per esse. Quindi su disco ci concentriamo su di esso, non ce ne frega niente di suonare live sul disco, anche se qualcuno ha detto che My Name Will Live On suona un pelino più live, forse per la maggiore presenza delle due chitarre che suonano distinte e separate, resta il fatto che su disco suoni in un modo e live in un’altra maniera.

Nonostante dal vivo le canzoni vengano riproposte in modo molto fedele rispetto al disco…

Non andiamo certo a riarrangiare dove su disco si era usato qualche piccolo trucco, poi noi, a differenza di tanti altri che si avvalgono di soluzioni complicatissime per produrre i loro dischi, aggiungendo molte sovraincisioni, non usiamo aggiungere chitarre su chitarre sul disco. Pur registrando in maniera moderna, mettiamo poche sovraincisioni, così che non risulta tanto difficile riproporre i brani dal vivo.

Tra le canzoni del vostro repertorio qual è quella che meglio vi rappresenta, che può essere indicata come vostro manifesto?

Mi viene da pensare The DoomSword, la nostra omonima, che è una canzone molto doomy e forse non riesce a riprendere, a livello musicale, tutti gli aspetti del nostro sound, soprattutto alla luce dell’ultima uscita. Sceglierne una sola è difficile, forse potrebbe essere Sacred Metal, dal primo album.


L’elemento del corno che sempre unisce i vostri dischi cosa rappresenta?

Il corno ci è particolarmente caro perché ce lo teniamo a fianco, soprattutto quando siamo sul palco e ci beviamo dentro, parlando più seriamente, trattando noi di Celti e Vichinghi, dove il corno era onnipresente, è normale che questo elemento torni spesso in gioco.

Qual è il gruppo a cui siete più riconoscenti, in termini di influenze e quelli con cui vi siete trovati meglio in tour?

C’è grande riconoscenza per tutte quelle band più anziane con cui abbiamo suonato, con le quali le prime volte fa un po’ strano suonare, dato che ti trovi a dividere il palco con gruppi che ascolti da una vita. Dopo ti abitui alla situazione, ma personalmente per loro resta sempre un occhio di riguardo…
A livello umano, un personaggio come Kenny Powell degli Omen è davvero matto, è una persona con cui c’è un forte legame e che ogni volta che lo incontri ti accorgi di come sia sempre più matto. Un personaggio che mi ha lasciato un’impressione molto positiva di sé è Mark Shelton dei Manilla Road, con cui abbiamo suonato nella loro prima data italiana ad Ascoli: è un uomo molto umile e amichevole ma allo stesso tempo consapevole di quello che ha fatto per l’heavy metal. E’ uno che non se la tira per niente ma ha sicuramente un grande carisma.

Quando sarà possibile vedervi sui palchi dei grandi festival europei quali Gods, Wacken, Bang Your Head…?

Un Bang Your Head l’abbiam fatto, se ci fosse di nuovo un’occasione del genere non ce la faremmo sfuggire, per Wacken…dipende. I DoomSword hanno sempre cercato di scegliere le proprie date live, quindi se si trattasse di suonare alle 8.30 del mattino su un palco secondario, preferirei restarmene a casa. Tanti ci hanno criticato per questa visione delle cose, non hanno capito che noi scegliamo dove suonare anche per i nostri fan, vogliamo suonare in condizioni buone per noi e per chi ci viene a vedere. Ad un Bang Your Head, dove hai un palco solo e il festival è organizzato in un’altra maniera, ci tornerei al volo, anche al Gods se ci venisse offerta l’occasione, la prenderemmo in seria considerazione.
Posso anticipare che suoneremo in Italia, non c’è ancora nulla di confermato, ma prima della fine dell’anno suoneremo in Italia.

P.S. A questo punto l’intervista “seria” sarebbe terminata ma abbiamo osato avanzare una domanda più triviale a The Forger…

Ma ci sono un po’ di belle ragazze nel giro dell’epic metal?

Se avessimo fatto black metal ne avremmo avuta attorno un po’ di più, l’epic da questo punto di vista è il genere più disgraziato, forse insieme al thrash: però quella poca che c’è, proprio perché sei musicista, ti gira un po’ attorno. Comunque in questo genere ne gira davvero poca, visto che sta tornando di moda il glam ti conviene metterti a suonare quello e lì ne avrai quanta ne vuoi!