Sorprendente, emozionante, adrenalinica. In una fredda notte di Dicembre, la Scarlet Records organizza un festival ad ingresso gratuito con una line-up da brividi per concludere in bellezza questo 2018. Il risultato? Un concerto straordinario e un Legend completamente pieno. Un serata che è stata conclusa da una band che ha fatto la storia di questa etichetta: i Necrodeath. Sul palco prima di loro tante giovani promesse del Thrash Metal italiano (ovviamente tutti gentilmente presentati dalla Scarlet), tra cui i Vexovoid. Ecco cosa ci hanno raccontato:
Buonasera ragazzi, e benvenuti su HeavyWorlds! Siamo ormai alle porte di questa super data, che per molti sarà l’ultimo concerto del 2018. Cosa vi aspettate da questo show e dal pubblico milanese?
Mah speriamo che l’affluenza sia buona, visto che comunque sono tutte band valide e importanti. Poi si tratta comunque di un festival organizzato da un’etichetta che è la più grande e più importante in Italia.
Il vostro album di debutto “Call of the Starforger” ha ottenuto un ottimo riscontro da parte della critica e un forte apprezzamento da parte del pubblico. Tuttavia, in molti si chiedono se al momento siete al lavoro su un nuovo disco.
– Sì, stiamo scrivendo i pezzi per il nuovo disco e diciamo che siamo ancora agli inizi, e quindi ci vorrà ancora molto tempo.
– Parliamo in cose concrete: 2 pezzi sono stati scritti. Purtroppo data la nostra lontananza per dislocazione, è un po’ lungo il processo di composizione.
- Il fatto è che ci vogliamo lavorare bene e concentrare meglio su tutti gli aspetti del secondo disco.
- Possiamo solo dirvi di aspettarvi un disco molto diverso rispetto al primo. Nel senso, manterremo la linea guida dei Vexovoid ma ci sarà qualche twist interessante. Diciamo che stiamo un po’ cambiando.
Quindi ci saranno delle sorprese?
(tutti in coro) Assolutamente sì
Come vi gestite il lavoro all’interno del gruppo? C’è qualcuno di voi che si occupa dei testi e qualcuno della musica? Oppure è un lavoro più corale?
- Io mi occupo della musica e Danny scrive i testi. Poi ovviamente quando siamo in sala ognuno mette del suo, arrangiamo tutto.
- Certo, in sala se a qualcuno non va a genio un testo o una parte musicale, si rivaluta tutto. Alla fine la cosa deve piacere a tutti i membri. Si cerca di creare uno spirito di gruppo anche per quanto riguarda queste cose che possiamo definire banali.
Il vostro thrash metal è definito da molti come rivoluzionario, perché in alcuni aspetti esce dai classici schemi canonici. Pensate che possa essere questo fattore rivoluzionario che costituirà la base per il futuro di questo genere?
- SÌ. UN SECCO SÌ.
- Si, cioè… speriamo. Nel senso che già gruppi in passato (basta vedere i Voivod) hanno provato a sperimentare qualcosa col genere, ma purtroppo non sono mai stati apprezzati se non da uno zoccolo durissimo di fans. Coroner, Voivod, i Watchtower… ce ne sono davvero tanti. Sono comunque tutti gruppi che non hanno mai raggiunto una vera notorietà. La formula non si rivela sempre vincente per quanto diversa, però magari miscelando le dosi in un periodo storico nel quale il thrash metal ormai ha finito di essere di moda, gli si può dare un po’ una rinfrescata. Poi chissà, magari tutto ciò può portare il genere in una nuova direzione, oppure in una direzione già intrapresa, ma meno approfondita.
Ascoltando le parole di molti ascoltatori del genere viene a voi attribuita una forte influenza da parte dei Vektor. Quanto effettivamente siete influenzati da questa band? E a quali gruppi vi ispirate?
- (tutti in coro) 100% Vektor!
- Per questo disco sì, i Vektor sono stati la band più importante a cui ci siamo ispirati. Altre da menzionare sono state i Voivod e gli Obliveon.
- È inutile negare che il progetto iniziò da me e da Leonardo dicendo “oh facciamo una roba tipo i Vektor, ma italiani”.
- È inutile nascondersi dietro un dito e dire “Ah sì, ci siamo solamente ispirati ai Vektor”, quando l’obiettivo primario era “Facciamo i Vektor italiani”, cercando di raggiungere una delle band qualitativamente migliori uscite almeno negli ultimi 10 anni.
C’è una canzone che amate particolarmente suonare dal vivo? Quale e perché?
- (tutti in coro) Galaxy! (Galaxy’s Echoes, nda)
- È una di quelle che ci diverte di più perché comunque prende un po’ tutti gli aspetti del disco: ci sono parti più melodiche, parti più tirate, parti un po’ più prog… poi comunque ci gasiamo a suonarla e ci sta
- Più che altro non è che prende le cose migliori del disco, è che aggiunge dimensione al disco. L’album alla fine è un progetto molto tirato, molto thrash, e dopo un po’ potrebbe suonare quasi monotono. Galaxy doveva essere proprio il pezzo che doveva rinfrescare un pochino il disco, dare un po’ più spazio a melodie, ritmiche particolari, giochi più interessanti… e il risultato ci convince. È un pezzo che, per quanto lungo, teniamo sempre in scaletta perché anche all’interno del concerto dovrebbe dare quell’effetto che volevamo ricreare su disco.
Qual è stato il problema più grosso che avete affrontato durante l’intera produzione del vostro album di debutto? E come ne siete usciti?
- Questa domanda è terrificante! Forse direi trovarsi d’accordo sui vari suoni, su tante cose… insomma, c’è stato un po’ da litigare in studio, come fanno tutti, poi alla fine si trova la giusta via di mezzo.
- Un’altra questione è che veniamo da generi molto differenti: nel senso che Leo (che per chi non lo conoscesse suona anche con un altro gruppo technical death metal chiamato “Coexistence”) ha più un’impronta sul technical death metal, comunque con una vena più progressive. Io e Mattia invece siamo molto più ancorati a quelle sonorità scure, ma anche a qualcosa di più moderno, come ad esempio il thrash metal dei Warbringer. Mettere insieme due cose come la “banalità” del thrash metal e l’imprevedibilità e la ricercatezza del technical death (che sta andando molto di moda adesso) è stata forse più difficile. Non sapevamo mai se far suonare il disco come un qualcosa di marcio in vecchio stile thrash metal o più pompato come un disco moderno, ed è stata dura metterci d’accordo.
Proprio voi che fate parte di questa realtà, cosa pensate dell’attuale scena underground italiana? Quali sono i vostri gruppi preferiti tra quelli come voi?
- La scena underground italiana secondo me è molto valida. Ci sono un sacco di realtà affascinanti che spesso non vengono valorizzate tanto, però è comunque gente che ci mette il cuore, ce la mette tutta e quando vedi delle serate belle in cui il locale si riempie e la gente apprezza, speri che anche la gente sia sempre più invogliata a valorizzare queste realtà. Per quanto riguarda i gruppi preferiti, preferiamo non fare nomi. Vorremmo evitare di creare torti ingiusti.
- Io personalmente, in quest’ultimo periodo sto ascoltando molto più metal prodotto in Italia che all’estero. Proprio perché non mi appartiene più il metal mainstream. Non riesco più ad andare a un concerto di gruppi grossi (a meno che non si tratti di gruppi enormi che adoro da un sacco di tempo, come potrebbe essere una reunion dei Voivod, ad esempio), però la realtà underground mi appartiene molto di più. E anche se si tratta di un progetto più low budget, si riesce facilmente a percepire la passione e il cuore messo dai musicisti in quel progetto, considerando anche che si fa una fatica assurda ad emergere.
Negli anni ’80 il thrash metal era visto in maniera certamente diversa da come è visto oggi. Cosa è cambiato secondo voi da allora? E soprattutto, le cose sono cambiate in meglio o in peggio?
- Beh, negli anni ’80 c’era un più forte spirito di denuncia sociale. Il fatto è che oggi è inutile parlare di aggressività e cattiveria nei nostri pezzi, quando alla fine siamo tutte pecore sotto al pastore. È un po’ come la questione dei ragazzi che fanno rap e che tentano di contestualizzare delle vite disagiate di strada dove la gente si ammazza per strada, ma in realtà vivono nella civiltà più totale. Non ha veramente il minimo senso, e i tuoi pezzi perdono tutto il messaggio e tutta la carica. È per questo che nei nostri testi abbiamo preferito raccontare storie quasi più di narrativa: per vivere realtà che veramente non ci appartengono, senza soffermarci su realtà che non ci sarebbero appartenute comunque, però in dei contesti importanti e veri di persone che ne possono veramente soffrire al mondo.
Che consiglio dareste a una band emergente?
– Non mollare mai!
- Non mollare mai e viversi la scena, viversi questo mondo, Perché alla fine è questa l’unica via possibile: riesci solamente se riesci a dare qualcosa a questo mondo, sicuramente quest’ultimo ti darà indietro qualcosa. Se pensi solo a suonare per te stesso, alla fine la cosa muore lì. Alla fine seguire la scena, seguire altre band, altre realtà… sono tutte cose che ti ripagano, sia come band che come persona.
- Alla fine il bello del metal è vivere il metal, non suonarlo. Tutti possono suonarlo, ma non tutti riescono a viverlo. Alla fine la band che cerca solamente di organizzarsi le proprie date senza dare la minima attenzione agli altri gruppi che come loro stanno cercando di emergere e alla realtà che li circonda, facendosi un’inutile guerra tra poveri, non porta da nessuna parte.
Grazie mille, questa era la nostra ultima domanda. C’è qualcosa in particolare che vorreste dire ai nostri lettori?
– Venite a vederci quando suoneremo vicino a voi! Grazie di aver letto questa intervista e di aver ascoltato i nostri discorsi. Veniteci a vedere, E ANDATE A VEDERE ANCHE GLI ALTRI. BELLA!
E anche da stasera è tutto, amici miei! Un saluto dal Legend Club di Milano. Ci vediamo alla prossima 😉