Preparatevi ad un viaggio impegnativo quando ascolterete per la prima volta “When The World Becomes Undone”, l’ultima fatica dei A Pale Horse Named Death. L’intro angosciante mette in chiaro quale sarà il mood dell’album, tra il pianto disperato di una donna e infelici rintocchi di campane. La suspence cresce per poi infrangersi sulle delicate note al pianoforte dell’inizio della titletrack, che dopo qualche convenevole porta i bassi al massimo e diventa una cavalcata gothic strascinata, intrecciata a strofe silenziose ed ovattate.
Il maggior parte dei brani, quasi tutti abbastanza lunghi, è infatti caratterizzata da elementi tipicamente doom, arricchiti da atmosfere variabili. Ci sono pezzi che godono di qualche richiamo più rock, come in “Loves the Ones You Hate” con un cantato un po’ grunge, e “Fell in My Hole” con un ritornello quasi orecchiabile. Dopo un breve momento strumentale il registro cambia leggermente, perché le tracce successive si distinguono per l’utilizzo di qualche effetto sulla voce e ritmi più cadenzati; un esempio è il singolo “Vultures”.
“Woods” è un intervallo primitivo e selvaggio, che all’interno del sistema creato spiazza un po’ l’ascoltatore. I brani successivi sono quelli più tormentati come argomento: l’incertezza derivante dalla coscienza di quanto sia debole la mente umana. Concetto che potrebbe essere sintetizzato in alcune strofe di “We All Break Down” che recita “noi tutti cadiamo qualche volta e non possiamo rialzarci, tutti noi ci spezziamo ogni tanto e semplicemente ci arrendiamo”. Quest’ultima canzone, insieme ai pezzi seguenti “Lay With the Wicked” e l’interessante “Dreams of the End”, riescono a rendere in modo enigmatico l’idea dell’inquietudine che deriva dalla cupezza del tema. Il tutto si chiude con un’outro che ci ricollega alla scena iniziale, alle campane della chiesa e alla donna piangente.
Si tratta di un album che di sicuro non è malvagio e che va ascoltato attentamente più volte, ma che non soddisfa del tutto le aspettative. Le sezioni più rock caricano l’ascoltatore, però mai abbastanza da appagarlo del tutto, lasciandolo quasi in bilico su un terreno instabile che sta per crollare, ma in un vortice di atmosfere che alla fine lo tengono in piedi comunque. Non ci è chiarissimo dove si voleva andare a parare…o forse sì? Del resto, il titolo del disco vuol dire proprio qualcosa del tipo “quando il mondo cade a pezzi” – chissà se il disorientamento provocato non sia intenzionale.