“Ategnatos” è un quadro misterioso. Questa volta gli Eluveitie hanno dipinto con colori scuri e ombre, per mettere in risalto la brillantezza di alcuni sprazzi di luce nascosti nell’opera, che si rivelano come squarci di sole in un cielo rannuvolato. L’atmosfera arcana che la band è riuscita a ricreare non vi abbandonerà per tutto l’ascolto e ciò ben si adatta al tema del disco, che questa volta tratta della simbologia celtica legata al concetto della rinascita e del rinnovamento in tutte le sue immagini mitologiche.
La titletrack “Ategnatos” apre le danze con un intro drammatico per sfociare nel marchio di fabbrica della band, un incalzante death metal mitigato nel ritornello, sostenuto dalla voce pulita femminile; è un brano che ben rappresenta l’album nella sua interezza e perciò giustamente si trova in apertura. Avanti con “Deathwalker”, un pezzo sferzante, ma incredibilmente travolgente come una tormenta nel ritornello, dove le voci di Chrigel e Fabienne si mescolano divinamente. Non è da meno neanche “Black Water Dawn”, che sulla stessa linea dondola tra aggressività e melodie armoniose, regalandoci pure un azzeccato assolo di chitarra.
Senza sbagliare neanche un colpo, “A Cry In The Wilderness” ci arriva diretta e tagliente, con un finale quasi black e un’ottima performance di Chrigel. È un esempio di come in questo lavoro gli strumenti folk siano perfettamente incastonati nelle sonorità frenetiche di base e non fagocitati da essi; anzi, oseremmo diremmo che qui si è trovato un equilibrio perfetto che addirittura riesce ad esaltarli. Tutta da saltare è cantare è invece “The Taven Hill”, che mitiga un po’ l’atmosfera generale, prima che arrivi “Ambiramus”, una traccia che anche se non spicca come una delle migliori della band, comincia a farci sentire che potremmo sfociare in sonorità più brillanti e cristalline. Del resto il concept dell’album, prevede di attraversare l’oscurità per trovare l’uscita della caverna, verso la luce della rinascita.
“Mine Is The Fury” ha un titolo che è tutto un programma, ma dopo averci sbattuti di qua e di là aggredendoci con forza ci lascia nelle mani di “The Slumber”, che abbassa un po’ il tono. Niente paura però, perché è il turno di “Worship”, sicuramente uno dei brani più riusciti del disco: un intro a dir poco inquietante da colonna sonora e melodie sinistre e quasi intimidatorie. Non dimentichiamoci la chicca in questo pezzo, ovvero la partecipazione alla voce di Randy Blythe dei Lamb Of God. Qualche azzardo c’è anche su “Threefold Death”, che alterna momenti veloci e martellanti ad altri pacifici e soavi in un contrasto intrigante.
Verso la fine del disco la coltre cupa che ci aveva accompagnato si dissipa ed è il momento di Fabienne di risplendere con la sua voce argentina su “Breathe”, un vero respiro dai toni più sognanti che ci accompagna come in un rito alla conclusione di questo viaggio spirituale su “Rebirth” e la sua trasognata versione acapella.
E così gli Eluveitie hanno dimostrato ancora una volta di avere qualcosa di interessante da raccontarci. Nove musicisti di talento che riescono ad emergere singolarmente per la loro bravura all’interno di un album intricato, che anche se non fa gridare allo scandalo, vanta dei picchi davvero alti al suo interno. Forse dovrete ascoltarlo un paio di volte prima di capirne tutte le scelte, ma senza dubbio “Ategnatos” vi lascerà qualcosa di positivo. Complimenti a mani basse.