Da tempo i Rammstein ci hanno abituato alle loro stranezze e ai loro colpi di genio. I più famosi portabandiera del metal tedesco degli ultimi 20 anni (ma, sotto certi versi, di tutti i tempi), grazie alla loro proposta musicale, ai fiammeggianti concerti e a un approccio provocatorio e irriverente, hanno ottenuto primati mai raggiunti prima da una band tedesca (valga su tutti quello di essere l’unica band teutonica ad avere un disco in lingua madre certificato platino negli Stati Uniti).
A questo giro, a 10 anni di distanza dal predecessore, i nostri non si smentiscono: sui singoli pubblicati recentemente è stato già detto e scritto molto, per la consueta e presunta provocatorietà di testi e video, mentre riguardo il disco, ad aumentare l’aura di mistero attorno ai simpatici tedeschi contribuisce la (momentanea?) assenza di titolo.
Ma veniamo alle tracce. Se le ormai note a tutti “Deutschland” e “Radio” sono delle buone apripista, la successiva “Zeig Dich” e soprattutto l’orecchiabilissima “Ausländer” non sono da meno, abbinando al tipico sound martellante dei nostri melodie facilmente assimilabili. “Sex” è saltellante, mentre in “Puppe” è la voce esageratamente espressiva di Lindemann a farla da padrona.
C’è tempo anche per una ballad, “Diamant“, breve ma efficace, e per strizzare l’occhio al compianto Jon Lord (sentire l’intro di “Weit Weg“, una sorta di “Perfect Strangers” à la Rammstein), mentre con “Tattoo” si torna allo stile più consono per i nostri, fatto di groove, chitarre tamarre e ritornello più aperto. A chiusura veniamo accolti da un intro di basso e una voce relativamente tranquilla che recita “hallo, wie geht’s dir?” su un tappeto di synth irrequieti: “Hallomann“, coi suoi chiaroscuri, chiude dignitosamente un disco a conti fatti ben riuscito, anche se non sempre di impatto immediato. Dopo dieci anni di attesa forse ci si aspettava qualcosa di molto più eclatante, ma il risultato finale è comunque più che buono, e tanto ci basta.