Un’attesa straziante, durata ben cinque anni, per i fan dei Sum 41, passata aspettando l’arrivo di una nuova produzione, e sperando fosse migliore delle due precedenti, che avevano già fatto storcere un po’ il naso.
A distanza di un periodo di silenzio così lungo, quel che, però, la band canadese riesce a regalare al suo pubblico è un album che sa di nuovo inizio: a dettare il cambiamento è, per prima cosa, il sound, più pastoso, meno brillante rispetto al passato.
“13 Voices” rappresenta la controversia fra l’età che avanza inesorabilmente, e la tremenda voglia di restare ancora giovani: a perdere presa è prima di tutto il Punk-Rock che dall’inizio li aveva caratterizzati, che sembra permanere nella sua integrità soltanto in “Goddamn I’m Dead Again“, “Fake My Own Death” e “God Save Us All (Death To POP)“, per lasciare spazio ad un più semplice Alternative orecchiabile, che vede “The Fall And The Rise” come riassunto del percorso intrapreso.
A far crollare le vane speranze dei seguaci è, sin dall’inizio, la opener “A Murder Of Crows“, che introduce la produzione con un’intro orchestrale atmosferica, mentre ad ucciderle definitivamente è l’arrivo di “Breaking The Chain“, che sembra prendere tutt’altra direzione, quasi a rimandarla ai Linkin Park degli ultimi periodi.
Non da meno, la mid-tempo “War“, che insieme all’ultima nominata, rappresentano le tracce migliori della produzione, orecchiabili al punto giusto da rimanere impresse nella mente, se si decontestualizza il lavoro di “13 Voices” dalla storia del gruppo.
Che dire, in generale una produzione mediocre, senza grandi caratteristiche da sottolineare, probabilmente destinata ad un pubblico diverso da quello che fin’ora li aveva accompagnati lungo la strada.