Le nostre radici sopravvivono sempre, appiccicate alla nostra anima e al nostro cuore in modo indissolubile; e benché i tentativi di distacco possano essere molteplici, prima o poi arriverà il momento in cui i conti si dovranno fare, ricordando a noi stessi che parte del carattere risiede nel luogo da cui si proviene.
I The Midnight Ghost Train sono statunitensi e suonano come statunitensi…il trio, giunto al quarto platter in meno di un decennio, assorbe e sprigiona in un ciclo continuo tutta la rudezza e l’incazzatura del rock dei subborghi, riuscendo a propinare un disco che mette soggezione. “Cypress Ave”, ulteriormente, va ad allargare il sound verso varie sfaccettature della musica made in USA, soprattutto rivolgendosi al blues oscuro degli stati del sud e al rock semiacustico che ha saputo forgiare la fortuna di molte band nel corso del tempo.
La produzione è fumosa e sofferente, carica di un ambiguo pathos noir che non molla mai…i suoni sono oscuro e rozzi, resi più melensi da un lavoro certosino in sede di mixing, mentre le performance esternano la forza unitaria di tre musicisti che han voglia di mettersi in gioco. La voce di Steve Moss rappresenta un connubio di emozioni disarmoniche e penetranti, dove l’unione a lyrics profonde e intense crea una sorta di limbo imprigionante…l’intelligenza della band esce sia nell’uso sinusoidale delle dinamiche che dei silenzi nelle strutture, particolare che dimostra l’enorme maturazione del combo.
“Tonight” e il singolone “Red Eyed Junkie Queen” rappresentano l’apice della solarità di “Cypress Ave”…da “Glenn’s Promise” in poi la discesa appare inarrestabile, grazie soprattutto a capitoli come “Bury Me Deep” e “The Echo”. Sugli scudi le variegate “Break My Love”, “Lemon Trees” e “The Boogie Down”, mentre menzione a parte la meritano la più moderna “Black Wave” e la bonus track “I Can’t Let You Go”, dove la band si lascia trasportare dalle strutture sospese.
I passi avanti dei The Midnight Ghost Train sono evidenti…non più solo una band derivante dallo stoner/doom bensì un act che è riuscito a fare il salto di qualità, sia in termini di ‘fame compositiva’ che di visione del proprio futuro. Un disco struggente ma appassionante.