Ci sono persone che non si accontentano mai, che desiderano continuare un percorso di ricerca e che provano in ogni modo a palesare visioni artistiche. Il rischio, in un’avventura simile, è di non riuscire a stabilire quelle tappe che possano sia far conoscere al mondo l’operato sia tirare il fiato per fare il punto della situazione, finendo in un turbinio di rabbia e scontentezza che uccide l’arte e ne spegne il messaggio profondo.
Questo “Gabriel” non è un disco facile, sia da ascoltare che da raccontare. I Visionary sono un progetto che vuol chiamarsi fuori dal coro, cercando sia di abbracciare la modernità del sound sia la concezione più progressiva che permeava negli anni 70; il risultato ha un gusto agrodolce, in cui la caratura esecutivo/creativa è innegabile ma dove manca ancora un certo appeal per una maggiore fruibilità. Di certo il lavoro e la passione presenti denotano una voglia di mettersi in gioco e di voler cambiare qualche carta nel mazzo.
La produzione è sufficientemente evoluta, grazie ad una cura certosina nelle creazioni e nell’abbinamento delle parti; le performance spaccano sia in resa che in capacità, dove solo la voce di Garret Holbrook appare sottotono, mentre i suoni caldi e il mixing ben sviluppato lasciano all’ascoltatore la sola fatica di mettersi comodo e di schiacciare play.
Non posso fare il song by song in questo caso e non me ne vogliano i Visionary. In un certo senso “Gabriel” è un disco profondo e intenso, ricco di ‘situazioni’ dal carattere complesso, ma che non centra a pieno le aspettative iniziali. Tredici songs indubbiamente colte e passionali che aprono la strada al quartetto ma che non convincono al 100%.